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Il liberalismo muore di autosufficienza

14 gennaio 2009

di Gabriele Nicolò

Se Charles Alexis de Tocqueville parlasse oggi con gli intellettuali di entrambe le coste degli Stati Uniti, se frequentasse i seminari di filosofia o di diritto costituzionale di tanti accademici, se leggesse “The New York Times” e guardasse la “Cnn”, concluderebbe, c’è ragione di pensare, che il modello europeo di relazione religione-politica sia penetrato anche in America. Non è solo il vecchio continente a importare modelli da oltreoceano, ma l’interscambio avviene anche in direzione opposta.
Se Tocqueville tornasse oggi negli Stati Uniti, non potrebbe quindi più affermare – come nel xix secolo – che nel Paese lo spirito di religione e lo spirito di libertà sono intimamente uniti, mentre in Europa procedono in senso contrario. Lo ha sottolineato il senatore Marcello Pera al convegno “Il modello americano nelle relazioni tra Chiesa e Stato” svoltosi a Roma in occasione dei venticinque anni delle relazioni diplomatiche formali tra Stati Uniti e Santa Sede. Moderatore dell’incontro l’ambasciatore Mary Ann Glendon.
“Anche in America – ha detto il senatore – oggi gli amici della libertà non sono amici della religione e cercano di destituirne il ruolo. Coloro che si proclamano seguaci di Thomas Jefferson non sembrano credergli oppure presentano la sua posizione in termini che Jefferson stesso non avrebbe accettato”. Jefferson – ha ricordato Pera – “sosteneva che i diritti inalienabili degli uomini dipendono da Dio. Oggi molti studiosi americani ritengono che si possa prescindere da Dio. Jefferson riteneva che le libertà liberali non possano essere mantenute se non sono considerate un “dono di Dio”. Oggi molti sostengono che il liberalismo sia autosufficiente”. E c’è di più. Jefferson infatti riteneva che il cristianesimo fosse la migliore morale pubblica mai esistita. Oggi si sostiene che la morale non debba avere fondamento religioso. Come è pure da ricordare che Jefferson usò la metafora del “muro di separazione” per difendere la religione dalle interferenze dello Stato. “Oggi i liberali americani – ha detto Pera – usano quella stessa metafora per difendere lo Stato dalla religione o per confinare la religione nella sola sfera privata”.
“Dopotutto – ha affermato il senatore – egli potrebbe notare che, come la – ora morta e sepolta – Costituzione europea non faceva menzione delle radici cristiane del Vecchio continente, così la Costituzione americana non fa menzione di Dio.
Si pone poi un altro interrogativo:  se la società liberale non è un miracolo, ma dipende dagli uomini, che cosa devono fare essi per mantenerla?
I padri del liberalismo – ha ricordato Pera – avanzarono una risposta. Dissero che la società liberale è una società religiosa. Tutti, fino dallo stato di natura, sono sottoposti a una legge divina di natura, cioè una legge morale che tutti conoscono o possono conoscere mediante una riflessione razionale”. Oppure dissero che la società liberale è una società razionale, cioè che tutti sono sottoposti alla stessa ragione universale, e questa ragione ci consente di scoprire la legge morale. “John Locke – ha detto il senatore – percorse la prima strada, Immanuel Kant la seconda, ma tutti e due arrivarono alla stessa conclusione poi formulata da Jefferson”. Ovvero che le libertà liberali “sono compatibili se gli uomini si considerano sottoposti a Dio, e la società liberale può essere edificata se gli uomini la considerano un “dono di Dio””.
Un altro rilievo del senatore Pera ha riguardato la posizione dei laicisti in Europa e in America, i quali sostengono che il liberalismo è autosufficiente. Ma questa è un'”illusione”. “Il liberalismo politico è autosufficiente solo se molte cose sono ammesse e prese per garantire” ha affermato Pera. A esempio, se si ammette che gli uomini siano persone; che le persone abbiano una dignità intrinseca; che le persone debbano essere rispettate. “Ma ammettere tutto questo e prenderlo per garantito – ha sottolineato il senatore – significa coltivare una fede; più precisamente una fede cristiana. Togliete questa fede e avrete tolto il liberalismo”.
Il dibattito sulla separazione tra Chiesa e Stato ha caratterizzato il cammino e l’evoluzione della società americana dal XVIII secolo in poi. Ma il concetto di “separazione”, al di là dei contesti storici e geografici, non è corretto, come ha rilevato il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso. È più opportuno parlare di “distinzione”, anche perché sarebbe “irrealistico” non tenere conto della presenza della Chiesa nell’ambito della vita sociale. Al riguardo il porporato ha lamentato come ai giovani, nei Paesi europei, non s’insegni bene la storia. È un fatto “molto grave”, ha detto Tauran, poiché ciò implica spesso letture e interpretazioni distorte degli avvenimenti.
Il vecchio modello americano di libertà religiosa, affermatosi nel XVIII secolo, concepiva tale libertà come diritto inalienabile. Sereno e costruttivo era il rapporto con la legge. Poi vi fu la degenerazione di tale modello. Infatti, ha osservato Philip Hamburger, della “Columbia Law School”, si è sviluppato un passaggio dalla libertà religiosa “ai sensi della legge” a un'”esenzione” dalla stessa libertà religiosa, con il rischio di sfociare in una sorta di anarchia, a detrimento dei valori etici e morali. Nel XX secolo dunque, negli Stati Uniti, si assiste a un capovolgimento, in conseguenza del quale, le norme costituzionali, non discriminatorie in materia religiosa, vengono sostituite da standard discriminatori.
Ecco allora che nel Paese s’impone, foriera di diverse implicazioni, la separazione tra Chiesa e Stato. Ed è su questo terreno che si misura il giusto equilibrio fra istanza religiosa e istanza civile, premessa e fondamento di civiltà. Hamburger, riguardo al processo di degenerazione del modello di libertà religiosa, ha evidenziato che in alcuni momenti della storia del XX secolo alcuni hanno visto nella Costituzione americana una sorta di strumento di discriminazione teologica. In nome di una libertà sempre più ampia, e non per questo migliore, si è venuta a creare una frattura fra religione e legge:  ognuno rivendica il primato del proprio credo, in rivalità con quanti appartengono ad altre religioni, e inquadrano la dimensione della legge solo nell’ottica della coercizione.
Nella storia della società americana si possono riscontrare tre modelli di libertà religiosa:  libertà dalla religione, di religione e per la religione.
Il primo modello, ha affermato Richard Garnett, della “Notre Dame Law School”, vede nella religione solo un fatto privato, senza legami con la realtà sociale; il secondo pone Stato e Chiesa su un piano paritario; il terzo modello riconosce nella religione uno strumento di ricerca della verità e di conseguenza intende creare le migliori condizioni perché si sviluppi la libertà della coscienza individuale e non vengano quindi imposti limiti coercitivi alla pratica religiosa. “È dato di constatare – ha affermato Garnett – che ci si barcamena tra questi tre modelli. Ciò deriva dalla permanente incertezza tra pubblico e privato, dagli ambigui confini che si vogliono tracciare tra religione e Stato”. È auspicabile dunque un laicismo positivo, ha sottolineato Garnett, capace di integrare nel tessuto della vita civile l’elemento religioso, garantendone la difesa e la promozione.
Tornando al parallelo tra Stati Uniti e Europa ci si può chiedere:  se in America si fatica a stabilire una dialettica tra Chiesa e Stato, in Europa le cose vanno meglio? Se negli Stati Uniti alcuni lamentano che la libertà religiosa sia garantita più dai tribunali, con sentenze e verdetti, che naturaliter – cioè sulla base dei principi di rispetto e di tolleranza -, in Europa esistono le condizioni per un sereno rapporto tra istanza religiosa e istanza civile?
Il continente europeo è caratterizzato da un contesto multiculturale – ha affermato Joseph H. H. Weiler, della “New York University School of Law”. In questo contesto trova le condizioni per svilupparsi un modello pluralista di libertà religiosa che, se ben applicato, non riconosce alcun conflitto fra democrazia e religione. Un pluralismo che non è mero relativismo, ma comprensione della sintesi fra cultura e identità religiosa. Tuttavia non si può dimenticare l’esistenza di frange che si identificano nell’assenza di religione, facendo propria la nozione più deteriore e nociva di laicismo.

(©L’Osservatore Romano – 15 gennaio 2009)

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